Giulia Dedionigi intervista Marco Giannecchini


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La vita comincia a 50 anni. Anzi, migliora. L’impulsivo desiderio di fuga dall’Italia, in cerca di condizioni migliori, contagia professionisti in carriera: medici di base, chirurghi e addirittura primari che scappano con mogli e figli al seguito, alla volta di mete esotiche come le Hawaii, oppure verso i tranquilli e solidi paesi nordici – su tutti la Svezia – o ancora in Qatar e negli Emirati Arabi.
Sono cinquantenni pronti a cambiare camice bianco, nonostante un posto fisso e un curriculum di diverse pagine. La “globalizzazione della sanità” apre le porte degli ospedali stranieri ai medici italiani che hanno voglia di cambiare le condizioni di lavoro e di migliorare la propria carriera, offrendo allo stesso tempo opportunità per tutta la famiglia. Quando chiamo Gregorio Maldini, chirurgo di 48 anni, dall’altra parte del telefono sento una voce allegra: «Aloha, con chi parlo?».
Per intervistare il medico che ha eseguito il primo trapianto pediatrico di intestino in Italia, bisogna comporre un numero hawaiano. «Sono di Roma, ma ho lavorato a Bergamo», racconta da Honolulu, «eseguivo cento interventi all’anno, oggi ne posso contare settecento. Qui non esistono liste d’attesa infinite per i pazienti e, a differenza di quello che si dice degli Stati Uniti, si curano gratuitamente anche malati senza assicurazione».
Non sono state solo l’aria pulita, il mare e le temperature calde a convincere Maldini e sua moglie, romagnola doc, a lasciare amici e parenti: oggi il suo stipendio si aggira intorno ai 300mila dollari all’anno, quattro volte il suo compenso italiano. «Il sistema americano è completamente diverso: non c’è una gerarchia da superare per poter condurre determinate ricerche, lavora chi è capace e chi viene giudicato positivamente dai pazienti. Abbiamo un punteggio e degli standard da mantenere: se non li rispettiamo, siamo fuori, licenziati. È proprio la voglia di conservare il posto fisso che blocca il mercato italiano». Non si parla, quindi, solo di cifre allettanti. Ma anche di frustrazioni, di clima poco sereno e sistemi lenti e obsoleti: «In Italia – racconta Giovanni Righetti, presidente dell’ordine dei medici di Latina – mancano gli stimoli. Negli Stati Uniti, dove lavorano ben 5.500 medici italiani, il gruppo più numeroso di stranieri, s’incoraggia l’iniziativa del singolo, lo si protegge di più in termini di necessità e bisogni per la sperimentazione. Se devi eseguire una Tac, non aspetti per giorni prima di avere il macchinario necessario. E poi, chi vuole restare in un paese così travagliato?»....

Il periodo d’incubazione del piano di fuga non è brevissimo, proprio perché, a un certa età, è bene riflettere con calma: «Io sono stato in Germania due volte prima di decidermi a trasferirmi a più di dodicimila chilometri da casa», dice Marco Giannecchini, 53 anni, medico toscano trapiantato a Berlino. «Ho lavorato in ospedale, in tirocinio, per due anni e poi ho voluto imparare bene la lingua». Ora è responsabile manageriale dei progetti medico-scientifici dell’azienda farmaceutica Bayer.....
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https://trapanimartino.wordpress.com/2013/04/16/sei-medico-e-hai-50-anni-puoi-rifarti-una-vita-e-uno-stipendio-da-berlino-a-abu-dhabi/

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